Cenni di psicoterapia
Avrai capito che il Disturbo di Depersonalizzazione e Derealizzazione è molto serio. Data la scarsa comprensione che ha da parte dei professionisti e della cultura ufficiale, il rischio maggiore che comporta è di cronicizzare assestandosi su un standard piuttosto grave. Un buon intervento psicoterapeutico è perciò indispensabile.
Noi siamo in grado di aiutarti su molti piani. Innanzitutto ti offriamo una conoscenza oggettiva e scientifica del disturbo. Poi ti garantiamo la migliore psicoterapia specialistica oggi possibile. Infine, ti accogliamo, per il tempo che tu vorrai, in una comunità di ricerca di stabile riferimento.
Come puoi immaginare, il percorso psicoterapeutico ha molte sfaccettature. Qui di seguito proviamo a descrivertene solo alcune fra le più importanti.
Il rischio di cronicizzazione. Mentre alcuni episodi di depersonalizzazione potrebbero durare soltanto un breve periodo di tempo, alcune persone con disturbo di depersonalizzazione ne soffrono per giorni, settimane, mesi. Il disturbo può infine cronicizzare e durare lunghissimi anni.
La somministrazione di ansiolitici o di antidepressivi ha una qualche parziale efficacia sui sintomi secondari, sovrapposti al disturbo (ansia ipocondriaca e depressione), ma nessun effetto sul sintomo stesso.
Dal punto di vista farmacologico, la maggior parte dei farmaci prescritti a pazienti con DP-DR è costituita da antidepressivi e ansiolitici, somministrati principalmente allo scopo di alleviare i sintomi d’ansia e dell’umore in comorbidità. Questi farmaci non sono tuttavia in grado di trattare la patologia dissociativa.
Il rischio della cronicizzazione è dunque alto.
Trattandosi di un disturbo che offre pochissimo appiglio a terapie farmacologiche e altrettanto poco a psicoterapie non specialistiche che lo trattano come un disturbo comune, è necessario prenderlo sul serio sin dalle prime manifestazioni e rivolgersi a terapeuti che dimostrino di conoscerlo a fondo.
La psicoterapia dialettica. La psicoterapia dialettica, che abbiamo ideato e che pratichiamo da alcuni decenni, presenta un piano terapeutico articolato.
Il primo passo consiste nel contenere e possibilmente eliminare del tutto le ansie ipocondriache incentrate sull’idea che il disturbo posso riflettere di una patologia psicotica o neurologica.
Il secondo passo, implica il contenere e risolvere gli stati depressivi secondari, che accompagnano il protrarsi nel tempo del disturbo e lo scoraggiamento di fronte all’inefficacia delle varie terapie sperimentate.
Poi, solo in terzo momento, si possono cominciare ad aggredire i sintomi specifici, relativi a un conflitto relazionale e/o intrapsichico in atto. Lo sblocco del conflitto di base consente non solo di affrancarsi dai sintomi, ma anche di liberarsi della depressione esistenziale e dall’assenza di significato che circonda i sintomi primari, aprendo così la strada per la definizione di un nuovo sentimento della vita.
Dunque, la prima cosa da fare in psicoterapia è riportare il paziente dalla fase dell’angoscia secondaria, particolarmente tormentosa, a quella iniziale, primaria, nella quale il sintomo è drammatico e severo, ma di per se stesso non tale da sconfinare nel panico, nella fobia ipocondriaca o nella depressione. Se il paziente si rende conto di questo, se riesce a de-oggettivare ciò che arbitrariamente gli appare oggettivo (danno cerebrale o follia presunti), allora è possibile avviare la psicoterapia in senso proprio, che consiste nel renderlo consapevole dei suoi conflitti inconsci.
Una metafora. Immaginiamo un giovane guidatore alle prese con lezioni di scuola guida.
Le lezioni vengono effettuate su un auto con due posti di comando, il posto di guida, destinato all’allievo, e quello dell’istruttore, immediatamente accanto. Seduto accanto all’allievo, l’istruttore dispone di comandi in grado di intervenire su quelli dell’altro modulandoli o bloccandoli. Se durante le lezioni l’allievo si mostra in grado di guidare l’auto con competenza, l’istruttore, cioè il guidatore di controllo, non sarà mai costretto a intervenire. Ma se invece l’allievo rischia di passare col rosso, di uscire fuori strada, tamponare l’auto che li precede o magari investire un passante, l’istruttore dovrà prontamente controllarlo e sostituirsi a lui.
Mentre svolge il suo lavoro, l’istruttore è consapevole che solo quando il suo allievo sarà in grado di capire gli errori commessi e di anticiparli, solo allora potrà superare l’esame di guida e condurre una sua auto senza attivare rischio di incidenti.
A questo punto, credo che la metafora sia trasparente: il giovane apprendista è il paziente, l’istruttore è lo psicoterapeuta, il secondo comando simula la funzione dei sintomi. Nel contesto della metafora, l’istruttore ha la delicata funzione di prevenire l’allievo perché non faccia incidenti. Il suo compito è capire in quali circostanze e secondo quale logica il giovane commette gli sbagli più ricorrenti, quelli che lo portano più facilmente fuori strada o a provocare incidenti con altre auto.
Fuori di metafora, lo psicoterapeuta deve capire quale sia la genesi, la dinamica e la funzione dei sintomi in quel particolare paziente. Il suo compito si svolge allora in tre tempi.
Primo tempo, lo psicoterapeuta deve mostrare al paziente che i sintomi assolvono alla funzione impersonale di bloccare gli errori emotivi e relazionali più gravi, che lui ha la tendenza a fare senza accorgersene.
Secondo, dovrà trasmettere al paziente ciò che ha capito di lui: schemi mentali consci e inconsci, problemi relazionali antichi e presenti, sistemi di valori per lui funzionali e disfunzionali.
Terzo, dovrà cedergli gradualmente il pannello di controllo per la gestione della sua mente e della sua esistenza.
Acquisiti questi strumenti, il paziente è libero dai sintomi.
Egli ha capito quali erano i traumi e i conflitti sepolti nella sua memoria, conscia e inconscia. Ha sperimentato le violente emozioni che ne erano sorte, tenute sotto controllo o punite dai sintomi, e le ha elaborate e padroneggiate.
Infine ha organizzato un Io più ampio, rispettoso del suo passato, capace di gestire la vita emotiva, aperto a nuove esperienze di vita, un Io finalmente sano.
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