Derealizzazione e ipercontrollo

marionetta, depersonalizzazione e derealizzazione

“Mi sento come se il mondo intorno a me fosse nebbioso, come in un sogno, come se vivessi e sentissi la realtà da dentro una bolla. Le mie sensazioni e le mie emozioni non sono più vivide.”

Chi soffre di derealizzazione spesso descrive una percezione ovattata del mondo, come se tutto ciò che lo circonda fosse finto o distante. Spesso chi soffre di questo disturbo ha sviluppato nel corso della sua vita dei tratti di ipercontrollo psicologico, senza esserne consapevole.

L’origine della difesa dissociativa

Secondo la psicoterapia dialettica, la derealizzazione è una forma di difesa della coscienza contro emozioni e vissuti ritenuti profondamente ingestibili. La derealizzazione non sarebbe quindi un difetto della mente, ma una strategia esistenziale: la persona si dissocia dalla realtà (derealizzazione) o da se stesso (depersonalizzazione) per non vivere appieno dei contenuti affettivi profondi.

Nella mia esperienza clinica, la maggior parte dei casi di derealizzazione e depersonalizzazione non presenta dissociazioni da un trauma violento, “oggettivo”, ma da qualcosa di più invisibile: sentimenti di rigetto, bisogno d’amore, desiderio di libertà, ecc. Se l’espressione emotiva è stata punita o ridicolizzata, o quando il bambino ha imparato che manifestare i propri sentimenti fosse pericoloso, o scoveniente, la mente può imparare a controllarsi anestetizzando il sentire.

depersonalizzazione e derealizzazione

L’ipercontrollo: una forma di distacco strutturato

Chi sviluppa tratti ipercontrollanti è spesso cresciuto in ambienti in cui:

  • non c’era spazio per l’errore;
  • l’affetto era condizionato alla prestazione;
  • la sensibilità era vista come debolezza.

    In questi casi, la coscienza costruisce un “io idealizzato” basato in modo radicale su razionalità, efficienza, coerenza rigida e altri valori di questo tipo. Ogni emozione intensa viene quindi percepita come una minaccia alla stabilità. Il risultato? La persona comincia a vivere “di testa”, scollegandosi dal corpo e dal mondo. È qui che può comparire la derealizzazione. Non come sintomo improvviso, ma come habitat mentale silenzioso: il mondo è come visto da dietro un vetro, tutto è sotto controllo, ma tutto è anche lontano. Si vive, ma non si è mai del tutto presenti.

Un caso clinico
Immaginiamo un caso clinico.

Matteo, 29 anni, ingegnere. Da tempo avverte una “strana sensazione di irrealtà”, soprattutto nei momenti di riposo o quando avrebbe modo di divertirsi o rilassarsi. Dopo mesi in cui ha attribuito il tutto a stanchezza, si rivolge a uno specialista perché ha iniziato a temere di avere un disturbo neurologico. Gli esami sono negativi. Inizia un percorso terapeutico.

Durante le sedute emerge un dato centrale: l’infanzia di Matteo è stata segnata da un padre freddo e ipercritico, e da una madre ansiosa che lo spingeva alla perfezione. Le emozioni erano “pericolose”: doveva sempre mostrarsi razionale, bravo, contenuto, per cercare l’approvazione paterna o confortare l’ansia materna. Nel tempo ha imparato a non sentire per non dispiacere. La derealizzazione è diventata la sua corazza silenziosa: vivere distaccato era il prezzo da pagare per non rischiare l’umiliazione affettiva.

Tornare a sentire è un atto di coraggio

La terapia non consiste nel “eliminare il sintomo”, ma nel ricostruire la fiducia nell’esperienza emotiva. Il lavoro clinico si basa sull’esplorazione delicata dei significati affettivi rimossi, sulla decostruzione del controllo, e sulla costruzione di una nuova sicurezza interna, basata sulla libertà di sentire e di esprimersi. Il sintomo non è quindi un nemico, ma un linguaggio profondo, che ci avverte di come qualcosa di vitale è stato messo a tacere.

 

Se ti riconosci in queste parole…

Se vivi esperienze simili o senti che una parte di te è “scollegata” dal mondo o dalle emozioni, puoi contattarmi per un primo colloquio. Esplorare il proprio sentire, con la giusta guida, può essere il primo passo verso una realtà più autentica e viva.