A viso aperto
Capire e gestire timidezza, fobia sociale e introversione
Chi di noi non ha mai avvertito un nodo alla gola alla sensazione d’essere osservato da qualcuno un istante di troppo? L’essenza della timidezza consiste appunto in questo: nella paura di un giudizio negativo riguardo a un proprio tratto caratteriale o riguardo all’intero essere personale, quindi nel bisogno incoercibile di velare parti del proprio mondo psicologico allo sguardo altrui.
Il timido è colui che avverte la vergogna come un’emozione più forte e più lacerante di qualsiasi senso di colpa. Vive la sua identità come qualcosa che è sempre esposto a un giudizio sociale, incapace di difenderla nel segreto di sé o in atti di affermazione personale. La vergogna pervade tutti i suoi atti. Ai livelli più estremi, la timidezza è “fobia sociale” e “disturbo evitante della personalità”: patologie nelle quali l’incontro con gli altri si colora di tinte sempre più fosche, il timore di andare incontro a un crollo diviene sempre più massiccio, fino a costringere il timido a una sorta di isolamento coatto e alla reclusione domiciliare.
Dietro la timidezza c’è sempre un’immagine di sé negativa, maturata nel corso dello sviluppo — il più delle volte nell’adolescenza — e consolidata nell’età adulta. Se però si analizza a fondo questa immagine interna si può scoprire che essa è costituita da qualità potenziali che l’ambiente non è stato in grado di individuare e far maturare.
Spesso il timido è pieno di pensieri sensibili e critici verso un mondo rozzo e insensibile; spesso ha idee controcorrente; non di rado ha una spiccata sensibilità sociale e un altrettanto ricca creatività culturale. Ma — argomenta il libro — queste qualità, percepite nell’infanzia come oppressive zavorre affettive e nell’adolescenza come anormalità psichiche, non hanno potuto prendere la via del largo e manifestare a viso aperto la propria intrinseca ricchezza.
Grazie alle crisi finanziarie e sanitarie globali, che sono anche crisi di valori, l’epoca dell’individualismo esibitivo se non è del tutto alle nostre spalle, è tuttavia oggetto di più ponderata riflessione. Dal punto di vista della riflessione psicologica e etica, è passato il tempo in cui il timido era costretto a sentirsi un “malato” (con l’avallo di “scienze” ambigue che trovavano la malattia genetica ovunque).
Oggi il timido, il fobico, l’introverso dovranno apprendere a considerarsi come dei “ricchi” che non sanno ancora di essere tali.